9 del mattino. L’aria pungente mi sferza il viso. Rimango a
lungo in silenzio, concentrata. Sono pronta per questa guerra, allenata a dare
il meglio. So perfettamente che non sarà un’impresa facile, 120km sono tanti,
perfino per me, che metto l’anima in ogni pedalata. Tuttavia al momento la mia
maggior preoccupazione non è la distanza da percorrere, bensì il dislivello da
affrontare: 1700m.
Dopo un breve calcolo delle mie possibilità fisiche e
mentali, sono pronta. Come un automa, prendo posto in griglia di partenza.
Boom. Partiti.
Il venticello primaverile che poco prima mi arrossava le
gote, ora cede prontamente il posto alle vampate di calore, i primi moti di
fatica per muovere il corpo freddo. La parte migliore e peggiore della gara, è
sicuramente l’inizio. I primi chilometri sono sofferenza ed agonismo puri.
Essendo una persona molto competitiva, mi nutro di questi momenti. Odio restare
indietro, devo necessariamente raggiungere e superare il mio avversario. Con
questo stato d’animo, muovo le prime pedalate, tenendo una media notevole:
40km/h. Le gambe che bruciano, il cuore che batte. Stupefacente.
Passa poco tempo, l’adrenalina si trasforma in sconforto e
consapevolezza di dover affrontare una salita interminabile e decisamente irta.
L’impulso predominante è quello di lasciare tutto. La testa mi dice di
rinunciare, ma il cuore dissente. In me si combatte una battaglia epocale:
ragione e sentimento, razionalità contro impulso animale. Vince la parte di me
che preferisco: quella passionale.
Giunta al culmine della salita, mi aspetta una altrettanto
ripida discesa. Scollino pensando a quanto sia affine il mondo ciclistico alla
vita stessa: dopo una dura scalata, un periodo di sofferenza, arriva sempre il
momento della discesa, un tempo migliore. Dopo una plumbea giornata, torna
sempre il sole.
In men che non si dica, mi ritrovo nuovamente su un terreno
pianeggiante. In un attimo mi rendo conto di essere giunta quasi al termine
delle mie fatiche. Ormai solo 50km mi separano dal traguardo.
La temibile pianura mi si para davanti con tutte le sue
asperità: una moltitudine di collinette, di curve strette, di irregolarità
stradali e di ciclisti che tentano di allungare il passo, costringendomi ad
aumentare la frequenza di pedalata per mantenermi aderente al gruppo. Per
fortuna non vengo lasciata sola ad affrontare tutto ciò. C’è mio padre con me.
Mi aiuta, mi incoraggia e mi sta affianco.
Il tempo vola quando ci si diverte, il tempo vola quando non
si è lasciati soli. Giungo al traguardo senza quasi rendermene conto. Vedo mia
madre, sorridente ed orgogliosa di me, che mi guarda mentre allungo per fare la
volata finale. Ecco lo striscione di fine competizione, segnale inequivocabile
del termine delle mie fatiche, che apre la strada all’orgoglio, alla felicità
ed ad una meritata abbuffata di cibo.
Non si spiega un’emozione come questa, non ci sono parole
per descrivere i sentimenti provati salendo sul palco, rispondendo al suono del
proprio nome. Erika. Stupefacente.
Ambra Natati
1 commento:
Appero'... che pathos!!! Leggendo mi è parso di partecipare alla gara... complimenti sia per la vittoria che per la recensione. Un bacio grossi grosso
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