martedì 27 marzo 2018

GRANFONDO ZENATO: LA MIA SFIDA AL DESTINO

9 del mattino. L’aria pungente mi sferza il viso. Rimango a lungo in silenzio, concentrata. Sono pronta per questa guerra, allenata a dare il meglio. So perfettamente che non sarà un’impresa facile, 120km sono tanti, perfino per me, che metto l’anima in ogni pedalata. Tuttavia al momento la mia maggior preoccupazione non è la distanza da percorrere, bensì il dislivello da affrontare: 1700m.
Dopo un breve calcolo delle mie possibilità fisiche e mentali, sono pronta. Come un automa, prendo posto in griglia di partenza. Boom. Partiti.
Il venticello primaverile che poco prima mi arrossava le gote, ora cede prontamente il posto alle vampate di calore, i primi moti di fatica per muovere il corpo freddo. La parte migliore e peggiore della gara, è sicuramente l’inizio. I primi chilometri sono sofferenza ed agonismo puri. Essendo una persona molto competitiva, mi nutro di questi momenti. Odio restare indietro, devo necessariamente raggiungere e superare il mio avversario. Con questo stato d’animo, muovo le prime pedalate, tenendo una media notevole: 40km/h. Le gambe che bruciano, il cuore che batte. Stupefacente.
Passa poco tempo, l’adrenalina si trasforma in sconforto e consapevolezza di dover affrontare una salita interminabile e decisamente irta. L’impulso predominante è quello di lasciare tutto. La testa mi dice di rinunciare, ma il cuore dissente. In me si combatte una battaglia epocale: ragione e sentimento, razionalità contro impulso animale. Vince la parte di me che preferisco: quella passionale.
Giunta al culmine della salita, mi aspetta una altrettanto ripida discesa. Scollino pensando a quanto sia affine il mondo ciclistico alla vita stessa: dopo una dura scalata, un periodo di sofferenza, arriva sempre il momento della discesa, un tempo migliore. Dopo una plumbea giornata, torna sempre il sole.
In men che non si dica, mi ritrovo nuovamente su un terreno pianeggiante. In un attimo mi rendo conto di essere giunta quasi al termine delle mie fatiche. Ormai solo 50km mi separano dal traguardo.
La temibile pianura mi si para davanti con tutte le sue asperità: una moltitudine di collinette, di curve strette, di irregolarità stradali e di ciclisti che tentano di allungare il passo, costringendomi ad aumentare la frequenza di pedalata per mantenermi aderente al gruppo. Per fortuna non vengo lasciata sola ad affrontare tutto ciò. C’è mio padre con me. Mi aiuta, mi incoraggia e mi sta affianco.
Il tempo vola quando ci si diverte, il tempo vola quando non si è lasciati soli. Giungo al traguardo senza quasi rendermene conto. Vedo mia madre, sorridente ed orgogliosa di me, che mi guarda mentre allungo per fare la volata finale. Ecco lo striscione di fine competizione, segnale inequivocabile del termine delle mie fatiche, che apre la strada all’orgoglio, alla felicità ed ad una meritata abbuffata di cibo.
Non si spiega un’emozione come questa, non ci sono parole per descrivere i sentimenti provati salendo sul palco, rispondendo al suono del proprio nome. Erika. Stupefacente.

                                                                                                                                                                                                  Ambra Natati

1 commento:

Unknown ha detto...

Appero'... che pathos!!! Leggendo mi è parso di partecipare alla gara... complimenti sia per la vittoria che per la recensione. Un bacio grossi grosso