4000. Un bel numero se non connotasse la quantità di
avversari da battere. Ahimè, con la solita fortuna che contraddistingue la
famiglia Natati, tale cifra è il sinonimo dell’enorme fatica che dovrò fare,
per riuscire ad accaparrarmi il miglior posto, in griglia come all’arrivo.
105. Un'altra meravigliosa cifra, se anch’essa non mi
condannasse a pedalare per tutti quei chilometri. Ma l’ultimo migliaio è quello
che preferisco: 1400, i metri di dislivello da affrontare, per giungere indenni
al termine di questa competizione.
Non sono mai stata molto abile con i numeri, pertanto mi
limiterò a narrare i fatti.
Il consueto sparo mi giunge nitido alle orecchie,
squarciando la placida quiete primaverile. Il segnale, lo stimolo acustico che
mi spinge a dimenticare tutto, a spegnere il cervello ed inserire il pilota
automatico. Il fiato corto, le gambe scattanti. Il cuore pompa all’impazzata, i
muscoli caldi mi permettono di raggiungere elevate velocità. La prima parte di
gara è caratterizzata dal continuo saliscendi della Valtenesi, che rende quasi
impossibile trovare una cadenza di pedalata. Il ritmo
altalenante cambia alle
pendici di San Michele e delle Coste di Sant’Eusebio. Nella prima delle due
scalate, la difficoltà non sta tanto nella pendenza che, tralasciando il primo
chilometro, risulta affrontabile, bensì nel dover mantenere una velocità
mediamente alta, in relazione alla durezza della salita. Superata la prima
asperità, ecco che subito si presenta la seconda, in un continuo rincorrersi di
obiettivi e mete: le Coste di Sant’Eusebio, uno stradone infinito lievemente in
pendenza e, in virtù di questa, sfibrante. Stringo i denti e continuo
nell’impresa, fiduciosa nel fatto che dopo una lunga salita, seguirà una quieta
discesa.
La mia speranza diventa realtà nel momento in cui mi
addentro nella Val Sabbia, che mi dà occasione di respirare, ma solo
temporaneamente. Quando penso di aver finalmente trovato la giusta cadenza,
ecco che un gruppo di ciclisti mi supera, iniziando ad aumentare la frequenza,
costringendomi a fare altrettanto. Non so dove io riesca a trovare sempre la
forza di reagire. Fortunatamente la scovo anche questa volta. Spero di riuscire
sempre a riaccendere in me la fiamma dell’orgoglio, della rabbia e della
competizione, che mi possa portare a superare eternamente i miei limiti,
attraverso l’interminabile fase dell’avvicinamento.
Perdendomi nel flusso dei miei pensieri, contemplando la mia
fatica con un occhio esterno, riesco a distrarmi quanto basta per impedirmi di
pensare ai pochi chilometri che mi separano dalla meta. Rinsavisco giusto in
tempo per godermi l’ultimo e meraviglioso chilometro passante per il centro di
Desenzano. Appena posta la ruota anteriore sul pavé del sobborgo, mi rendo
conto di essere, ancora una volta, giunta alla meta, soddisfatta e felice. È
incredibile quanto lo sport riesca a donare. Le emozioni che mi fa provare lui,
non le ho provate mai.
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